Accertamento giudiziale della maternità
Con la sentenza in commento la Cassazione si è pronunciata sul tema della maternità e si è trovata a ragionare del complicato equilibrio tra diritto della madre all’anonimato e diritto del figlio a conoscere delle proprie origini.
I discendenti di una donna riconosciuta come madre impugnavano la sentenza di appello sostenendo che, in difetto di revoca dell’iniziale scelta della madre all’anonimato, è impossibile per il figlio esercitare il diritto a conoscere le generalità della medesima perché il legislatore ha fissato in 100 anni il termine per l’accesso ai dati.
Ne conseguirebbe l’inammissibilità della domanda di accertamento della dichiarazione giudiziale di maternità, ove esercitata.
La Corte ha ricordato le varie norme che riconoscono il diritto della madre a restare anonima:
- l’art. 30, comma 1, DPR 3.11.2000, che con riferimento alla dichiarazione di nascita impone il rispetto dell’eventuale volontà della madre di non essere nominata;
- l’art 93, comma 1, d.lgs 196/2003, che subordina al decorso di 100 anni il rilascio integrale del certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, quando la madre abbia dichiarato di non voler essere nominata;
- c) l’art 28, comma 7, Legge 184 del 1983 in materia di anonimato dei genitori naturali del figlio adottivo;
- d) il DM 16.7.2001 n. 349, in materia di certificato di assistenza al parto.
I Supremi Giudici hanno poi ricordato la pronuncia della Consulta, 278/2013, che ha riconosciuto il crisma della natura costituzionale al diritto all’anonimato, strettamente connesso al diritto alla salute ed alla vita della madre e del nascituro, che, considerate le particolari condizioni psicologiche, personali, ambientali, economiche e culturali nelle quali talvolta avviene il parto, potrebbero risultare in pericolo ove la donna avesse solo il dubbio di poter essere esposta ad un’azione di accertamento giudiziale della maternità.
Va rammentato che tale pronuncia ha riconosciuto la possibilità per la madre di revocare la scelta dell’anonimato, in un procedimento riservato che prevede il ricorso del figlio e l’interpello della madre da parte del Giudice.
La Corte ha poi ricordato come per l’individuo la conoscenza delle proprie origini rappresenti un aspetto fondante dell’identità personale e come l’incertezza possa determinare crepe nei processi di formazione della personalità.
Secondo i Giudici di Piazza Cavour il diritto al riconoscimento di uno status filiale corrispondente a verità appartiene al nucleo dei diritti inviolabili della persona e ciò giustifica l’imprescrittibilità dell’azione e l’interesse alla conoscenza, anche in età adulta.
Nel Giudizio di bilanciamento tra i due diritti di rango costituzionale, la Corte ritiene preminente quello all’ anonimato della madre, perché finalizzato alla tutela dei beni supremi della vita e della salute della madre e del nascituro. Tale diritto deve essere tutelato in maniera massima durante la vita della madre, mentre può essere compresso dopo la morte della madre in considerazione della necessità di fornire tutela al diritto all’accertamento dello status di figlio naturale.
È vero aggiungono i Giudici della Corte che anche dopo la morte, l’anonimato può servire alla tutela dell’identità sociale che la donna si era costruita in vita, ma, venendo meno la tutela della vita e dell’identità personale, il diritto all’anonimato diviene recessivo e l’azione, ex art 269 CC, deve essere considerata sicuramente ammissibile.
Ciò è imposto da una lettura costituzionalmente orientata di tale ultima norma, alla luce degli artt. 2, 24 e 30 Cost. ma anche da una lettura internazionalmente orientata che rispetti l’art. 8 CEDU, il quale salvaguarda l’individuo dalle interferenze dei Pubblici poteri nella vita privata e tale deve considerarsi un divieto di proporre azioni in materia di accertamento dello status di filiazione.
CASSAZIONE, 22 Settembre 2020 N° 19824
L’azione giudiziale di accertamento della maternità ex art. 269 c.p.c., nel caso in cui la madre abbia esercitato il diritto al cd. parto anonimo, è sottoposta alla condizione della sopravvenuta revoca della rinuncia alla genitorialità giuridica da parte della madre, ovvero alla morte di quest’ultima, non essendovi più in entrambi i casi elementi ostativi per la conoscenza del rapporto di filiazione e così dovendosi interpretare, secondo una lettura costituzionalmente e internazionalmente orientata, la suddetta norma.