Agenti di commercio, contratti collettivi e ius variandi

Con la pronuncia 485 del 2020 la Corte d’Appello di Venezia offre un contributo notevole circa l’interpretazione delle clausole degli accordi economici collettivi che delineano l’esercizio dello ius variandi in favore delle ditte mandanti, sposando una linea poco “tenera” nei riguardi della posizione degli agenti di commercio.

Come noto, al potere di modifica unilaterale concesso alle mandanti fa da contrappeso la facoltà per l’agente di non aderire alle nuove condizioni introdotte, nel caso in cui esse siano tali da incidere in modo significativamente peggiorativo sui propri compensi. Tale circostanza si verifica quando, estendendo virtualmente le “nuove regole” ai dodici mesi che hanno preceduto l’annuncio della variazione, si evidenzi una riduzione delle provvigioni percepite in misura superiore ad una data soglia (20%, 15% o 5% a seconda dei casi). Se la variazione eccede la soglia, l’agente può recedere dal contratto conservando il diritto al pagamento delle indennità di fine rapporto.

L’oggettività del parametro sopra riassunto è complicata, nel caso in commento, dal fatto che la mandante, con il medesimo intervento, aveva sia ridotto la zona di un proprio agente sia affidato a questi una nuova area.

In tali casi, ai fini dell’individuazione del tasso di incidenza della variazione, deve tenersi conto anche dei dati di vendita registrati dalla mandante sulla nuova zona? E’ ammissibile il “pareggio” tra zona tolta e zona aggiunta?

A parere della Corte veneta la risposta è affermativa: “la verifica delle condizioni previste dall’art. 2 AEC (N.D.R., accordo economico collettivo) richiede un confronto tra il precedente risultato economico e quanto il nuovo trattamento garantisce all’agente al fine di verificarne la perequazione economica, e non esclusivamente nell’ambito della zona assegnata all’agente prima della variazione”.

Quel che desta maggior perplessità è proprio il riferimento alla “garanzia” legata a risultati registrati in una zona diversa da quella in cui l’agente era attivo.

A ben vedere, gli accordi economici collettivi, prevedendo un termine di trenta giorni per l’eventuale comunicazione di diniego dell’agente, sembrano voler assicurare a questi un intervallo di tempo per valutare l’impatto della variazione sulla propria attività e sui propri compensi, riflettendovi sulla base dei dati a propria disposizione, del proprio rapporto con i clienti, della conoscenza diretta del mercato di quel territorio. Si tratta di ordini di valutazioni che non può compiere con riguardo ad una zona diversa da quella in cui questi opera quotidianamente.

Per ipotizzare il più banale dei casi, qualora la zona “nuova” avesse registrato nell’anno precedente un consistente numero di vendite grazie ai virtuosismi di un rappresentante passato poi ad altra azienda concorrente, è facile immaginare che la clientela più fidelizzata possa dirottare altrove almeno parte di quelle vendite.

Se eleggessimo a “regola aurea” la posizione espressa dalla Corte d’Appello di Venezia facilmente si arriverebbe ad eludere del tutto le garanzie e i limiti oggettivi previsti dalla contrattazione collettiva in tema di ius variandi, a tutto svantaggio degli agenti di commercio, di cui la sentenza in commento sembra sottovalutare peculiarità e diritti.

La sentenza, nel caso concreto, ha interamente riqualificato l’entità di una variazione del mandato (a seguito della quale un agente di commercio aveva comunicato recesso per fatto imputabile all’azienda) e condannato l’appellato alla restituzione degli importi che aveva percepito a titolo di indennità sostitutiva di preavviso e suppletiva di clientela, oltreché al pagamento in favore della sua ex preponente dell’indennità per mancato preavviso.

 

Sentenza CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, Sezione Lavoro, 485 del 19.11.2020, pubblicata il 27.1.2021

 

Autore articolo: Avvocato Daniele Costanzo


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