Non più necessario il divario minimo d’età di 18 anni per adozione di maggiorenne
Con la richiamata sentenza, la Suprema Corte di Cassazione ha di fatto proposto una deroga al requisito quantitativo sancito dall’art. 291 c.c. per l’ adozione di maggiorenne, preferendo, ad un’ interpretazione prettamente letterale, una lettura della norma orientata ai valori costituzionali e comunitari.
Secondo gli Ermellini, l’istituto dell’adozione di maggiorenne ha acquisito la funzione di riconoscimento giuridico della relazione sociale ed affettiva consolidatasi all’interno del nucleo familiare, ragion per cui il divario minimo di età di 18 anni tra l’adottante e l’adottato, richiesto dalla norma, rappresenterebbe un’ingiusta sottrazione all’osservanza di quegli obblighi positivi che lo Stato assume nei confronti dello sviluppo della vita familiare e che sono espressi nell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
In virtù di tale contegno, la decisione in esame ha fatto proprio l’orientamento già espresso dalla medesima Corte (Cass. Civ, I, 15 febbraio 1999, n. 354) e che ha riconosciuto al giudice dell’adozione, previo approfondito esame delle circostanze del caso, la possibilità di ridurre il divario minimo d’età richiesto, in ossequio ad un principio di tutela dell’unità familiare che legittima la natura derogatoria del mancato rispetto del requisito quantitativo di cui all’art. 291 c.c.
In conclusione, secondo la Corte nomofilattica, è legittimo e ragionevole il provvedimento di adozione ordinato dal giudice anche in mancanza del requisito del divario minimo d’età, se, ai fini della decisione, valutate le circostanze del caso, si è ritenuta preminente la tutela delle situazioni familiari consolidatesi nel tempo.
Cass. Civ, I, 3 aprile 2020, n. 7667
In tema di adozione di maggiorenne, il giudice nell’applicare la regola che impone il divario minimo di età di 18 anni tra l’adottante e l’adottato, deve procedere ad una interpretazione dell’art. 291 c.c. compatibile con l’art. 30 Cost., secondo la lettura data dalla Corte Costituzionale e in relazione all’art. 8 della CEDU, che consenta, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, una ragionevole riduzione di tale divario minimo, al fine di tutelare situazioni familiari consolidatesi da tempo e fondate su una comprovata “affectio familiaris”.