Risarcimento del danno dopo vendita di beni difettosi

La vicenda processuale trae origine dalla fornitura di perline di larice, acquistate dal consumatore per essere posizionate sopra il tetto dell’immobile di sua proprietà. Tale fornitura si rivelava difettosa ed il consumatore citava quindi in giudizio il venditore per ottenere un risarcimento del danno che, a sua volta,  chiamava in causa il produttore delle perline.

In primo grado, il Tribunale, rigettata la domanda principale di condanna del venditore ad eliminare i vizi perché eccessivamente onerosa, accoglieva la domanda subordinata di risarcimento del danno, rappresentato dalla somma necessaria per l’eliminazione dei vizi.

La sentenza era totalmente riformata in grado di appello.

Il giudice del gravame riteneva inammissibile la condanna del venditore al pagamento della somma necessaria alla eliminazione dei vizi in quanto identica a quella di eliminazione dei vizi, rigettata perché eccessivamente onerosa. Reputava, quindi, che l’unico danno risarcibile fosse il danno estetico, rappresentato dalle somme necessarie per la eliminazione delle fessure all’interno delle perline di larice ed il danno rappresentato dalla perdita di valore dell’immobile a causa della difettosità nella copertura del tetto.

Negava però queste poste risarcitorie in quanto non esplicitamente richieste dal consumatore. La sentenza non ha retto al vaglio della Suprema Corte. I giudici di legittimità hanno, innanzitutto, evidenziato come la azione risarcitoria non sia preclusa dalla circostanza che l’articolo 130 del codice del consumo non preveda il risarcimento del danno tra rimedi esperibili in caso di vizi della cosa venduta.

Infatti, come sancito dal successivo articolo 135, restano esperibili gli altri rimedi, offerti da altre norme dell’ordinamento giuridico italiano. Nel momento in cui viene ammessa la tutela risarcitoria, essa, deve essere volta al riequilibrio e quindi a rimettere il consumatore nella situazione in cui si sarebbe trovato se il bene acquistato non fosse stato viziato.

La tutela, quindi, non può essere circoscritta ai soli danni diversi e differenti da quelli liquidabili per la rimozione del vizio. La sentenza, poi, censura anche quella parte della sentenza di appello che aveva negato il minor danno rappresentato dalle somme necessarie per l’eliminazione delle fessure e dalla perdita di valore dello immobile, ricordando come

la generica richiesta di risarcimento del danno si riferisce a tutte le possibili voci di danno generate dalla condotta illecita.

Si tratta di un principio consolidato di fondamentale importanza che, ove non fosse applicato, costringerebbe i legali ad elencazioni puntigliose e noiose di poste risarcitorie.

 

Cass., sentenza 299 del 10 gennaio 2020

In tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, ove la riparazione o la sostituzione risultino, rispettivamente, impossibile ovvero eccessivamente onerosa, va riconosciuto al consumatore, benché non espressamente contemplato dall’art. 130, comma 2, cod. consumo, ed al fine di garantire al medesimo uno standard di tutela più elevato rispetto a quello realizzato dalla Direttiva n. 44 del 1999, il diritto di agire per il solo risarcimento del danno, quale diritto attribuitogli da altre norme dell’ordinamento, secondo quanto disposto dall’art. 135, comma 2, del cod. consumo.

 

Autore articolo: Avvocato Umberto Rossi


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