Sottrarre file a lavoro rientra nel delitto di appropriazione indebita
Integra il delitto di appropriazione indebita la sottrazione definitiva di “file” o “dati informatici” attuata mediante duplicazione e successiva cancellazione da un personal computer aziendale, affidato all’agente per motivi di lavoro e restituito “formattato”, in quanto tali “dati informatici” – per struttura fisica, misurabilità delle dimensioni e trasferibilità – sono qualificabili come cose mobili ai sensi della legge penale.
La sentenza riguardante l’appropriazione indebita di file sul luogo di lavoro, emessa in occasione di fatti occorsi della cessazione di un rapporto di lavoro subordinato, offre interessanti spunti di riflessione.
Il principio di diritto in essa enunciato possa essere esteso anche a tutti i rapporti di para-subordinazione, collaborazione, ed in particolare anche ai rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale.
La questione di cui si è occupata la Corte di Cassazione, Sezione Seconda Penale, ha inoltre risvolti sul piano prettamente civilistico in quanto è noto che un fatto o atto illecito, in special modo se costituente reato, genera un diritto al risarcimento del danno in capo alla persona offesa.
La Suprema Corte, sulla scia di un indirizzo ormai consolidato, dopo aver definitivamente qualificato dei beni immateriali quali i “files” e/o i “dati informatici” come veri e propri beni mobili (vedasi anche Corte Costituzionale, sentenza n. 414/95), alla stregua di un qualsiasi altro “oggetto tangibile”, ha anche stabilito come ed in che misura possa ritenersi “spossessato” il reale proprietario di quei beni c.d. immateriali.
La condanna penale dell’agente, invero, discende non dall’aver semplicemente copiato quei files di cui in fondo è stato autore e creatore, pur se per conto altrui, ma dall’averli integralmente copiati, con successiva distruzione fisica dai supporto informatico su cui erano presenti, ovvero l’hard disk del laptop aziendale che è stato riconsegnato completamente formattato e non più correttamente funzionante.
Ciò ha integrato spossessamento vero e proprio del bene, con consumazione del reato di appropriazione indebita e conseguente condanna del lavoratore alla pena ritenuta di giustizia, rinviando alla Corte di Appello anche per la valutazione di colpevolezza del reato di cui all’art. 635 quater c.p..
Leggi la sentenza di seguito:
Sentenza n. 11959 del 10 aprile 2020
Seconda sezione – Giurisprudenza Penale
Descrizione: Integra il delitto di appropriazione indebita la sottrazione definitiva di “file” o “dati informatici” attuata mediante duplicazione e successiva cancellazione da un personal computer aziendale, affidato all’agente per motivi di lavoro e restituito “formattato”, in quanto tali “dati informatici” – per struttura fisica, misurabilità delle dimensioni e trasferibilità – sono qualificabili come cose mobili ai sensi della legge penale.